Consenso informato e omessa informazione: quando è possibile chiedere il risarcimento dei danni?

Con un rilevante e recente intervento, la Suprema Corte ha affrontato il tema del presunto danno derivante dalle omesse informazioni in ambito sanitario.

LA VICENDA 

La fattispecie esaminata dalla Corte è legata alla richiesta di risarcimento danni avanzata dai genitori di una neonata nei confronti di una struttura sanitaria, in conseguenza della nascita della loro bimba affetta da una grave patologia cromosomica non diagnosticata in fase prenatale. 

La richiesta dei danni si incentrava sotto il duplice profilo attinente la violazione del diritto all’autodeterminazione quanto al danno patito dalla neonata, per il ritardo con cui le erano state diagnosticate le patologie, da cui sarebbe derivato un’aggravamento della complessiva condizione patologica.

Sia il Tribunale che la Corte di merito respingevano la domanda di risarcimento, in virtù del fatto che la gestante mai aveva manifestato la volontà di ricorrere all’interruzione di gravidanza, ove edotta dalle circostanze menomanti relative al feto, ed inoltre non aveva dimostrato la ricorrenza delle condizioni legittimanti l’interruzione volontaria della gravidanza. 

Si concludeva, pertanto, per la negazione del nesso causale tra le patologie della neonata e l’omessa diagnosi prenatale del difetto congenito, negando in definitiva, che i danni patiti dalla bambina alla nascita fossero legati all’omessa informazione.

IL RICORSO IN CASSAZIONE

Impugnata la sentenza d’appello, i genitori ricorrevano avanti la Corte di Cassazione, lamentando in particolare per quanto di nostro interesse, la violazione del consenso informato

Veniva infatti asserito che la Corte d’Appello avrebbe omesso di considerare due sostanziali aspetti legati allo status di donna in gravidanza: tale violazione, infatti, non solo incide sulle sue scelte abortive, ma può avere altre rilevanti conseguenze, in quanto la madre, se informata, avrebbe potuto scegliere di non abortire ma avrebbe avuto anche la possibilità di prepararsi psicologicamente e materialmente alla nascita di un bimbo con problemi, necessitante di specifiche cure, avrebbe consentito l’elaborazione del fatto da parte dei genitori e l’accettazione e predisposizione di una diversa organizzazione di vita; ancora, i genitori avrebbero potuto programmare degli interventi chirurgici o altre cure tempestive, per eliminare o quanto meno attenuare il problema e le dirette conseguenze. 

IL PRINCIPIO DI DIRITTO

La Corte adita accoglieva quindi tale motivo di ricorso, richiamandosi espressamente ad un rilevantissimo orientamento (Cass. SS.UU. n. 26972-26975/2008), secondo cui ove il danneggiato abbia allegato di aver subito un pregiudizio causalmente legato ex art. 1223 c.c. con l’omessa informazione, spetta al giudice accertare se il danno invocato abbia superato la soglia della serietà e gravità, ciò in quanto “il diritto deve essere inciso oltre un livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento tra principio di solidarietà e di tolleranza secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico, non essendo predicabile un danno in re ipsa. Presupposto indispensabile per l’apprezzamento e la conseguente risarcibilità di un pregiudizio discendente dalla lesione del diritto del paziente ad autodeterminarsi è che l’intervento si ponga in correlazione causale con le sofferenze patite che non consistano in meri disagi e fastidi, e in caso di esito positivo dar seguito alla richiesta risarcitoria“.

In conclusione, i giudici della Suprema Corte hanno dato rilevanza sostanziale al fatto che la consulenza diagnostica costituisce presupposto causale di una serie di ulteriori conseguenze, non circoscritte alla dimensione terapeutica in senso stretto ma costituente antecedente causale di scelte (o mancate scelte) di natura esistenziale e familiare, potenzialmente foriere di conseguenze gravi e pregiudizievoli: la lesione del diritto di informazione incidente oltre una soglia minima, cagionando un danno connotato dal requisito della gravità, è quindi presupposto di un danno non patrimoniale autonomamente risarcibile.

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