La revoca dell’assegno divorzile, Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 5077/2021
La Corte di Cassazione si è di recente pronunciata in materia di assegno divorzile, ponendo alcuni principi a fondamento della revoca del medesimo, originariamente spettante a favore dell’ex moglie.
A seguito della pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, i giudici del Tribunale di Lucca affidavano il figlio minore ad entrambi i genitori, stabilendo altresì a carico dell’ex marito la somma di € 500 a titolo di assegno di mantenimento del minore e di € 400 quale assegno divorzile a favore dell’ex moglie.
Successivamente la Corte d’Appello di Firenze, accogliendo parzialmente l’appello principale dell’ex marito, accertava che la donna non aveva diritto ad alcun assegno divorzile, revocandolo.
La Corte giungeva infatti alla considerazione della piena capacità lavorativa della donna, desunta da alcune indagini investigative dalle quali era emerso che, anche dopo le formali dimissioni dell’ex moglie dallo studio di un commercialista ove aveva prestato attività lavorativa in passato, in realtà la medesima aveva continuato a prestare di fatto attività lavorativa presso tale studio.
Promosso ricorso in Cassazione, l’ex moglie sosteneva che erano state erroneamente ritenute decisive le risultanze delle investigazioni in quanto non circostanziate e pertanto non idonee a comprovare l’esistenza di un suo rapporto di lavoro.
In aggiunta, poi, la donna lamentava anche l’omessa considerazione di certificazioni mediche depositate in atti e considerate comprovanti una patologia che le avrebbe reso impossibile prestare un’attività lavorativa.
Tramite la menzionata ordinanza n. 5077/2021, la Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’ex moglie, ritenendo legittima la negazione e quindi la revoca dell’assegno divorzile, sulla base della “sua piena capacità lavorativa, desunta dalle indagini investigative – disposte dall’ex marito –, dalle quali è emerso che, anche dopo le formali dimissioni dallo studio di un commercialista, ella ha continuato a prestare di fatto attività lavorativa presso tale studio”.
Infine, quanto allo status fisico della donna, la Corte aggiunge che essendo stato accertato che la stessa poteva tranquillamente camminare, guidare e persino andare in bicicletta, è stato correttamente escluso che la stessa si trovasse in condizioni tali da precluderle la possibilità di lavorare.