L’impugnabilità di un testamento effetto di dolo
Nella causa in esame, radicata innanzi al Tribunale parmense (Trib. Parma, sez. I, nr. 174/2018) gli attori impugnavano il testamento pubblico di Nemo, che revocava altro precedente, assumendo in primo luogo l’incapacità a testare, essendo a loro avviso presente nel de cuius un’infermità tale da averlo reso privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza di quanto faceva e della capacità di autodeterminarsi, ed in secondo luogo l’annullabilità del testamento stesso in quanto frutto di dolo di Tizia e Caia, nominate eredi universali.
Quanto all’incapacità naturale, il Tribunale riteneva che non ne fosse stata affatto fornita la prova (essendo onere probatorio degli attori); aggiungeva inoltre la Curia parmense che le ultime volontà erano state espresse in forma pubblica innanzi al Notaio, con la redazione di un atto redatto con tutte le formalità previste dalla legge; in tali casi, già l’accertamento del notaio deve ritenersi un significativo elemento di prova della capacità di testare (cfr. Trib. Savona, 27.02.2012; Trib. Lucca, 07.07.2016, nr. 1469).
Quanto al profilo dell’asserito dolo, gli attori sostenevano di trovarsi di fronte non ad una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste, suggerimenti, sollecitazioni e simili, come tali irrilevanti, bensì di veri e propri mezzi fraudolenti, che avuto riguardo all’età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso testatore, si palesavano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni della realtà ed orientando quindi la sua volontà in una direzione verso cui invece non si sarebbe diretta: secondo gli attori, insomma, le convenute avevano di fatto captato la volontà del de cuius, circonvenendone le intenzioni, sfruttandone le condizioni emozionali e caratteriali, ed inducendolo così a nominarle eredi universali di un ingente patrimonio.
A parere del Collegio, tuttavia, gli attori non avevano esposto affatto fatti certi tali da consentire di identificare e ricostruire l’attività captatoria e l’influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore, avendo essi solo riferito generici sfruttamenti delle condizioni emozionali, caratteriali e di età dell’anziano.
Diversamente, ritiene la giurisprudenza prevalente che in tema di impugnazione testamentaria che si assuma effetto di dolo, per poter configurarne la sussistenza non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni ma occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti i quali, avuto riguardo all’età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito delle stesso, siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata. La relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’attività captatoria e la consequente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore (Cass. 28.05.2008, sez. II, nr. 14011); anche in tale caso, il Tribunale assumeva che la prova non era stata fornita.
La domanda attorea, pertanto, veniva rigettata sotto entrambi i profili.