Rinuncia all’eredità ed inventario
Un caso di particolare interesse in tema di obbligazione risarcitoria derivante da una condotta criminosa del de cuius, è stato affrontato dal Tribunale di Milano, sez. X, con la sentenza 18/02/2020, n. 1552.
La vicenda trae origine dalla richiesta risarcitoria promossa dai genitori e dal fratello della minore Caia, i quali convenivano in giudizio Tizia e Mevia, affinchè il Tribunale, accertato il loro status di eredi pure e semplici del defunto Sempronio, venissero condannate al risarcimento del danno derivante dalla condotta criminosa del defunto stesso.
In particolare, Sempronio era stato tratto a giudizio per rispondere del reato di violenza sessuale aggravata e continuata nei confronti della minore: a seguito del suo decesso, il Tribunale aveva dichiarato l’estinzione del reato per morte del reo ai sensi dell’art. 150 c.p..
Gli attori, agiscono pertanto nei confronti delle convenute, ritenendole eredi di Sempronio ed in quanto tali titolari dell’obbligazione risarcitoria.
Costituitesi in giudizio nelle forme di rito, Tizia e Mevia contestavano le pretese degli attori, in particolare quanto allo status stesso di eredi, eccependo di aver rinunciato all’eredità a norma dell’art. 485 c.c..
Rilevanti sono le questioni giuridiche sottese al caso in esame.
Precipuo rilievo assume, anzitutto, la domanda volta all’accertamento dello status di eredi delle convenute, il quale, secondo quanto dedotto dagli attori nell’atto di citazione, avrebbe trovato fondamento nel mancato espletamento dell’inventario ex art. 485 c.c., con la conseguente inefficacia (e/o nullità o invalidità) della rinuncia successivamente effettuata.
Tale assunto viene respinto dal Tribunale, il quale ha ritenuto che la rinuncia all’eredità, la quale si sostanzia in una “dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione e inserita nel registro delle successioni” (art. 519, primo comma, c.c.), fosse stata correttamente espletata dalle convenute.
I giudici rilevano, infatti, che nessun altro onere risulta imposto ai fini della validità dell’atto di rinuncia all’eredità: in particolare, non è richiesto il successivo compimento dell’inventario da parte del chiamato che si trovi in possesso dei beni.
Peraltro sul punto, anche se sono da segnalare opposte correnti di merito, la giurisprudenza della Suprema Corte in alcune occasioni ha affermato che il chiamato all’eredità “prima del compimento dei tre mesi, può rinunziare all’eredità anche senza compiere l’inventario” (ex multis Cass., sez. II civ., 27 luglio 1964, n. 2067).
Inoltre, ad ulteriore sostegno dell’erronea interpretazione degli attori sul tema, il Tribunale sottolinea come la ratio stessa della rinuncia, ossia la libera manifestazione di volontà del chiamato all’eredità di non voler avere alcun rapporto con l’eredità medesima, verrebbe scalfita dalla richiesta compilazione dell’inventario quale requisito essenziale di validità, rendendo l’atto stesso un negozio potenzialmente condizionato (ed in quanto tale nullo ex art. 520 c.c.).
Nel caso esaminato, gli attori avevano altresì invocato la domanda di accertamento dell’inefficacia della rinuncia ex art. 527 c.c., deducendo la sottrazione (o occultamento) di beni ereditari da parte delle convenute.
Tale domanda veniva ulteriormente respinta poiché nessuna prova concreta, se non generiche allegazioni relative al possesso, era stata fornita in relazione alla sottrazione o all’occultamento.
In conclusione, il Tribunale rigetta la domanda di accertamento dello status di eredi della convenute, le quali hanno validamente rinunciato all’eredità, dichiarando contestualmente assorbita la domanda di condanna al risarcimento del danno, la quale presuppone l’acquisto dell’obbligazione risarcitoria mortis causa delle convenute stesse.