Una vexata quaestio: mancato inventario nel termine e perdita del diritto di rinunziare all’eredità

La delicatissima questione qui commentata, che nella prassi spesso viene sottovalutata ma che può avere conseguenze drammatiche, è quella offerta dalla sentenza nr. 6275/17, secondo cui la rinuncia all’eredità, posta in essere dopo la scadenza del termine di cui all’art. 485 c.c. dal chiamato all’eredità che si trovi nel possesso dei beni ereditari, non è in alcun caso configurabile come rinuncia ad effetti traslativi, atteso che alla scadenza del termine per l’effettuazione dell’inventario il chiamato all’eredità è considerato erede puro e semplice, con la conseguente inefficacia della rinuncia.

Chi è possessore dei beni ereditari -e sappiamo che si può trattare anche di possesso di un solo bene ereditario (Cass. 4707/94), dovendosi poi ricomprendere qualsiasi relazione materiale con il bene, anche di detenzione (Cass. 7076/95)- deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità.

Trascorso tale termine senza che l’inventario sia stato compiuto, salva proroga, il chiamato all’eredità è considerato erede puro e semplice.

Trattasi di termine di decadenza, pertanto.

Ma il chiamato decade dalla possibilità di accettare con beneficio o decade anche dalla possibilità di rinunziare ed è quindi erede tout court se entro i 3 mesi non fa l’inventario?

Secondo la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, contrariamente alla grande parte della dottrina, in mancanza di inventario nei tre mesi si decade dalla facoltà di rinunciare e si è eredi puri e semplici.

Anche se si intende rinunciare e si è nel possesso dei beni, va fatto quindi l’inventario nel termine dei 3 mesi.

Nella prassi, invece, l’inventario in prospettiva di rinunzia non viene quasi mai consigliato in un’ottica di contenimento dei costi ma tale modus operandi non garantisce alcuna tutela in termini prospettici.

Occorre, quindi, fare molta attenzione: i rischi sono elevatissimi.

Anche tale motivo si palesa come infondato. Infatti, la Corte veneta non ha aderito a nessun indirizzo dottrinale o giurisprudenziale, ma ha solamente applicato in modo corretto il principio di cui all’art. 485 c.c.: ha, dapprima, accertato che la ricorrente fosse nel possesso dei beni ereditari, senza aver redatto alcun inventario nei termini di legge, e, poi, ha dichiarato la stessa “erede pura e semplice” del defunto marito” (Cass. 5862/14).

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